Throw Away Your Books, Rally in the Streets: l’urlo viscerale di una generazione senza nome

Regia - Shūji Terayama (1971)

Fotografia - Masayoshi Sukita

Shūji Terayama, regista, poeta, teorico, drammaturgo e persino pugile, è stato uno dei più straordinari protagonisti dell’avanguardia giapponese del XX secolo. Con la sua opera multiforme, Terayama ha saputo mettere in discussione le convenzioni sociali e artistiche, forgiando un linguaggio unico e visionario che trascende il cinema stesso. Tra le sue creazioni più iconiche, Throw Away Your Books, Rally in the Streets emerge come un’opera tanto poetica quanto destabilizzante, capace di scuotere l'animo dello spettatore e interrogare le fondamenta stesse dell’identità, della ribellione e della libertà.

Dove tutto inizia: un manifesto senza nome

Il film si apre in modo volutamente spiazzante: uno schermo nero, un’eco di rumori, voci appena percettibili. Poi, finalmente, l’immagine del protagonista, in bianco e nero, emerge accompagnata da un monologo di oltre cinque minuti che spezza ogni convenzione narrativa:

Non ho un nome. [...] Sono nessuno.”

Questa frase non è solo una dichiarazione, ma un vero e proprio manifesto. Il protagonista, privo di identità, è lo specchio di una generazione alienata, intrappolata nelle convenzioni sociali e familiari, alla ricerca disperata di un senso. Questa dichiarazione colpisce come un pugno allo stomaco. Non si tratta solo di un rifiuto dell’identità personale, ma di una messa in discussione delle etichette e delle costrizioni ideologiche che soffocano l’individualità. Il senso di disorientamento, voluto e amplificato dal montaggio, guida lo spettatore in un viaggio che sfida i limiti della comprensione narrativa tradizionale.

La famiglia disfunzionale come microcosmo del malessere sociale

Il protagonista senza nome vive in una famiglia disfunzionale che funge da metafora del Giappone postbellico. Il padre, ex criminale di guerra, incarna il peso della colpa storica e il patriarcato ormai svuotato di autorità morale. La nonna cleptomane rappresenta un passato che si aggrappa ai suoi oggetti, mentre la sorella, con il suo morboso attaccamento a un coniglio, evoca una solitudine esasperata e l’incapacità di instaurare relazioni autentiche.

La famiglia, in tutta la sua tragicità grottesca, diventa un simbolo delle strutture sociali oppressive che imprigionano l’individuo, riducendolo a un mero ingranaggio di un sistema che si perpetua senza senso.

Un viaggio onirico tra realtà e allegoria

Ed è così che seguiamo il nostro ragazzo adolescente senza nome vagare per Tokyo in una ricerca di identità e significato, immerso in un mondo che lo respinge e lo intrappola. Le scene si muovono tra momenti di quotidianità, come una partita a calcio o una visita in un bordello, e sequenze oniriche di straordinaria potenza visiva. Un livello di follia, lirismo e visioni così surreali si ritrova solo nei mondi di Pasolini e Fellini: il simbolismo crudo e disturbante richiama l’approccio pasoliniano, mentre le atmosfere oniriche e grottesche si avvicinano al linguaggio felliniano. Il risultato è un mix unico di poesia e provocazione, capace di trasportare lo spettatore in una dimensione sospesa tra realtà e allegoria.

Tra rivoluzione e reazione: il Giappone degli anni ‘70

Il vero protagonista del film, tuttavia, è il Giappone stesso. Terayama ritrae una nazione divisa tra i rigurgiti reazionari di un passato autoritario e i sogni di liberazione culturale. Le scene in cui i giovani si radunano nelle strade, protestando contro il conformismo, evocano le lotte sociali e politiche dell’epoca, ma lo fanno con un’ironia dissacrante che ne amplifica l’impatto.

Una delle sequenze più memorabili è quella in cui una ragazza appende un sacco da boxe a forma di pene in una strada affollata, invitando i passanti a sfogare la propria frustrazione. È un gesto surreale, quasi dadaista, che racchiude in sé la tensione tra rabbia e comicità, tra protesta e assenza di una soluzione concreta.

Le interviste alle sex workers, ironiche e spiazzanti, offrono un ritratto della complessità del Giappone di quel tempo:

Il miglior libro che ho letto è la Bibbia, è ovvio [...] Il Capitale di Karl Marx? Che?!”

Alienazione, consumismo e ribellione

Throw Away Your Books, Rally in the Streets esplora una gamma di temi complessi e profondamente radicati nel contesto culturale del Giappone degli anni Settanta. La condizione di alienazione generazionale è al centro della narrazione: il protagonista vaga per le strade di Tokyo, apparentemente alla ricerca di risposte, ma in realtà catturato in un movimento perpetuo che riflette l’assenza di una meta chiara.

Terayama denuncia il consumismo come nuova religione: i libri, simbolo di un sapere codificato e passivo, vengono contrapposti alla vitalità e al caos delle strade, dove la vita si manifesta nella sua cruda autenticità. Il titolo stesso del film è un invito alla ribellione, un’esortazione a liberarsi delle strutture oppressive e a riscoprire una collettività autentica.

Anche la sessualità viene affrontata con uno sguardo critico e provocatorio. La scena in cui il padre porta il figlio in un bordello per “farlo diventare uomo” svela la pervasività di un maschilismo tossico, mentre altre sequenze rivelano come l’erotismo sia intriso di solitudine e alienazione.

La poetica del caos

L’opera di Terayama non segue una struttura narrativa tradizionale. Le transizioni rapide tra le prospettive, i movimenti della telecamera che oscillano e ruotano, e la colonna sonora punk e psichedelica dei Tokyo Kid Brothers creano un’esperienza cinematografica unica. Terayama alterna sequenze in bianco e nero a colori acidi, fucsia e verdastri, creando un universo visivo che disorienta lo spettatore e riflette l’instabilità emotiva e psicologica dei personaggi.

Il caos visivo e sonoro diventa metafora dell’anarchia e della rivoluzione, riflettendo le ideologie hippie e le proteste che hanno segnato il Giappone tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta.

Un’opera che sfida il tempo

Throw Away Your Books, Rally in the Streets non è solo un film: è un’esperienza, un atto di sfida contro ogni convenzione, e al tempo stesso una meditazione poetica sull’assurdità dell’esistenza. Terayama, con il suo approccio visionario, ha saputo trasformare il cinema in uno strumento di riflessione e provocazione, offrendo un ritratto crudo e poetico di una società in crisi.

Per chiunque voglia comprendere il fermento culturale del Giappone degli anni Settanta, questo film è un’opera imprescindibile, un manifesto di resistenza che continua a ispirare generazioni di spettatori.

Cristina D.A.

Avanti
Avanti

Izumi Suzuki: una voce punk nel Giappone degli anni ’70