Intervista a Sara Waka
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“Io sono un po’ come Supermario, un’italiana creata da giapponesi”
Sara Waka, nata e cresciuta in Italia da genitori giapponesi, si considera una milanese purosangue. Dopo aver ottenuto una laurea in “Comunicazione nei mercati dell’arte” a Milano, e il master “Mediazioni Culturali” a Parigi svolge numerosi progetti lavorativi nell’ambito della cultura e della moda tra cui: contributor per L’Officiel Italia ed Elle Japon. Diventa anche ambasciatrice per brand internazionali come Christian Louboutin, Piaget, Nintendo Italia, Asahi, e tanti altri.
Alimentata dalla curiosità per diverse culture nel 2013 crea Wakapedia. Quella che all’inizio era una “semplice” passione – incontrare e conoscere persone uniche e stimolanti – diventa col tempo una vera e propria occupazione, dando vita a una formidabile community creativa internazionale.
Ciao Sara. Sei nata a Milano da genitori giapponesi, entrambi cantanti lirici. Ora vivi tra Milano e Tokyo, a cavallo tra due culture molto diverse tra loro. Potresti raccontarci qual è il tuo rapporto con il Giappone?
Io sono un po’ come Supermario, un’italiana creata da giapponesi (lol). Mio padre ha seguito mia madre in Italia, lui inizialmente voleva andare in Germania. Quando si sono traferiti in Italia 37 anni fa c’erano pochissimi giapponesi qui a Milano. Ho frequentato le elementari alla Scuola Giapponese di Milano, mentre alle medie e alle superiori sono andata in scuole italiane. Mia mamma mi fece iscrivere al liceo linguistico ma io avrei voluto fare l’artistico, ho sempre amato l’arte. Ho sempre mantenuto questa dualità tra le due culture, tant’è che adesso vivo a metà tra Milano e Tokyo, città in cui lavoro come consulente creativa in ambito moda, arte e lifestyle sia per brand italiani che vogliono andare in Giappone che per brand giapponesi che vogliono venire in Italia.
Nel 2013 hai dato vita a “Wakapedia”, una piattaforma che mette in relazione la cultura asiatica e quella occidentale per dare vita a progetti interculturali creativi. Raccontaci un po’ di più di questo progetto. Come è nata l’idea?
L’idea è nata da Giulia, art director di Wakapedia. Durante un aperitivo parigino in risposta ad una mia “cavolata” lei ha esclamato “Questa è proprio una perla da Wakapedia!”. Giulia mi ha sempre spronato ad aprire un blog ma nella mia testa all’epoca per me i blog trattavano solo contenuti di moda, come The Blond Salad. Alla fine nel 2013 per il mio compleanno mi ha regalato il dominio Wakapedia.it e il logo. Ho cominciato a sviluppare questa piattaforma in 3 lingue (italiano, inglese, giapponese), poi diventate 4 col francese e ho cominciato a fare interviste a personaggi come Maurizio Cattelan, Carlo Verdone e Gualtiero Marchesi. Nelle interviste mi piace tirare fuori l’umanità dalle persone. Ad un certo punto i magazine giapponesi (Elle Giappone, Vogue) hanno iniziato a contattarci per farci scrivere degli articoli in giapponese, uno dei primi lavori è stato su Benetton. E così il progetto ha iniziato a svilupparsi e si è formato anche un team e ora siamo in 7: ci sono Federica, Camille, Yoka, Valentina e Kassandra. Ho imparato a fare direzione artistica guardando lavori di persone e agenzie diverse, tra cui Toilet Paper Magazine di Maurizio Cattelan. Ho quindi iniziato a proporre anche questo prodotto con Wakapedia, ovvero Creative Direction.
Quali aspetti del modo di pensare italiano e dell’essere cresciuta in Italia hanno influenzato il tuo lavoro artistico? E viceversa, quali aspetti del mindset giapponese influenzano la tua persona e la tua creatività?
I giapponesi vogliono sempre lavorare con i giapponesi. Quando lavoro con loro divento più giapponese e più precisa di loro, perché voglio dimostrare loro che sono davvero giapponese. Quando sono in Giappone però cerco sempre l’italianità; mi potete trovare quasi tutte le sere a “Clandestino 41”, un bar gestito da due toscani nel quartiere di Nakameguro, Tokyo. Quando invece sono in Italia ricerco il Giappone. Lavorare con i giapponesi in Italia mi fa sentire a casa e infatti ho scelto Tenoha Milano come spazio coworking. Sulla parte creativa mi sento più italiana perché sono stata abituata ad avere artisti e creative director italiani intorno a me; conosco però bene anche l’estetica giapponese e quindi provo sempre a mettere qualcosa di giapponese nella mia direzione creativa. E’ il mio marchio, il segno distintivo che contraddistingue tutti i miei lavori. Sulla precisione invece credo di essere abbastanza giapponese (ride).
Se dovessi scrivere una lettera alla Sara di 10 anni fa, cosa le diresti?
Questa è la stessa domanda che ti fanno gli psicologi (lol). Ho avuto una crisi d’identità molto forte quando ero più piccola: la cultura italiana è molto espressiva, mentre quella giapponese molto low profile. Ho subito anche tanto bullismo sia alla scuola giapponese che alla scuola italiana. Per questo sono sempre stata molto insicura, poi ho capito che questa possibilità di conoscere due culture era una forza, non una cosa di cui vergognarsi o nascondere. Quindi le direi:
“Stai tranquilla che sei una figa! (ride). No scherzo, le direi: be more confident, non ti preoccupare che tanto le cose andranno bene. Farai quello che ti piace, vivrai come ti pare, segui il flow.”
Cosa saresti stata se non fossi stata un’artista/ creative director? Cosa ti sarebbe piaciuto fare?
Mi sarebbe piaciuto fare la sommelier dell’olio, ed è una cosa che prima o poi farò ma prima forse dovrei prendere la patente (lol). Da piccola invece volevo fare l’archeologa perché mi ero fissata con Jurassic Park e con la teoria che con il sangue di dinosauro succhiato dalla zanzara, imprigionata in una goccia d’ambra, si può dar vita ad una creatura ormai estinta da milioni di anni. In realtà ancora ci credo in questa cosa.
Grande Waka. Ora sei nel paese giusto per fare archeologia 😊
All images © Contemporary Asia (Ph: Laura Baiardini)
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